di Fabio Sanvitale direzione@calasandra.it
15 marzo 2013
Colpo di scena nel caso di Claudia Agostini. Il delitto di via della Lungara, dopo 10 anni, potrebbe avere un colpevole. Si attende la decisione del Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Roma, per avere la certezza che Leonardo Bellatti sarà processato per la morte della convivente Claudia Agostini, 41 anni, avvenuta a Roma nelle prime ore del 13 ottobre 2003. Morte che è stata fatta passare per incidente, poi per suicidio, poi per malore, mai per quel che era: omicidio volontario. Quel giorno i quotidiani titolavano: “Via della Lungara, donna uccisa da un pirata della strada. Il corpo di Claudia Agostini è stato trovato tra le auto in sosta. Inizialmente si era pensato ad un malore”. Sembrava una storia facile, ma non sarebbe andata così.
Chi era Claudia Agostini? Aveva 41 anni, era nata a Lucca, abitava a Firenze, era insegnante di lingue straniere al liceo Newton, stava per sposarsi con Bellatti. Claudia viene trovata morta alle 6.45 di mattina, di fronte al portone di casa, al 41 di via della Lungara, una strada stretta che corre sotto il livello stradale di Lungotevere Gianicolense e il cui civico più famoso è quello del carcere di Regina Coeli. La trovano sui sanpietrini, proprio sotto il muraglione: indossa una tuta bianca, le scarpe da ginnastica, ha le mani stranamente appoggiate sul ventre. Sta tra due auto in sosta ed è ancora tiepida. Bellatti si sveglia prima che il cadavere venga ritrovato, scopre che Claudia non è nel letto accanto a lui, scopre che la porta di casa è socchiusa, pensa che sia uscita per comprare il latte per colazione o a fumarsi una sigaretta. Non si preoccupa. Poi sente il trambusto sotto le sue finestre del quarto piano: sono le 7.45. Si affaccia, scende, scopre che cosa è successo, piange. Poi fa salire i poliziotti in terrazzo e mostra quello che c’è sulla balaustra: un pacchetto di Camel con sopra un accendino. Dice che da quel punto Claudia si può essere buttata, o magari si è sentita male ed è caduta. Fanno l’autopsia: investimento stradale. Il sostituto procuratore Olga Capasso pensa allora ad un pirata della strada. Ma quella strada è strettissima: chi ci correrebbe a cento all’ora alle 6 di mattina? L’ipotesi non sta in piedi, non ci sono segni di frenata, non ci sono frammenti: ma la magistratura nel 2004, un anno dopo, archivia.
Athos Agostini, il papà di Claudia, si oppone. I giudici archiviano di nuovo: Claudia era “in evidente stato di alterazione psichica” quando è scesa e così è stata investita. Non se ne capisce il motivo. Athos si oppone di nuovo. Ottiene la riesumazione della figlia. Emergono molti dubbi, stavolta, perché il perito degli Agostini, il prof. Giancarlo Umani Ronchi, trovava che l’osso ioide di Claudia è fratturato. Un osso che si trova nel collo e la cui frattura indica sempre strozzamento o strangolamento (cioè a mani nude o tramite uno strumento). Il Pubblico Ministero sostiene a questo punto che forse è andata come disse Bellatti: Claudia ha avuto un malore ed è caduta dal terrazzo. Ma se anche se fosse andata così, per quale misteriosa legge di gravità sarebbe dovuta atterrare non a piombo della facciata del palazzo, ma a quattro metri e mezzo di distanza, sotto il muraglione? No, non regge. Lo sa anche il PM, che chiede infatti di indagare su Bellatti, finalmente. Arriviamo al 2007 e anche stavolta non se ne fa nulla: i giudici non sono convinti che c’entri qualcosa, anzi,rispolverano l’idea del suicidio.
Tutto l’errore, in realtà, nasce con la prima autopsia, quando i periti D’Aloja, Giusti e Moriani non c’avevano capito niente. Il loro errore, unito a una valutazione sbagliata della Capasso, condizionò le indagini. Il resto fu cercare sempre una conferma alla testi dell’incidente o del malore; e mai vedere oltre. E ci fu anche una enorme dose di superficialità: basti pensare alla tuta bianca indossata da Claudia quando fu ritrovata: rimase abbandonata sotto la pioggia, in obitorio. Ma nonostante tutti gli sbagli, emergevano con gli anni, piano piano, i frammenti della verità: Claudia non aveva né le fratture classiche di un investimento e nemmeno quelle tipiche di una precipitazione dall’alto, peccato. Piuttosto, aveva un forte trauma alla testa, delle vertebre fratturate, aveva perso molto sangue da alcune lacerazioni al fegato.
Può sembrare che la svolta di questi giorni sia il trionfo della scienza applicata alle indagini, di quelle analisi di laboratorio che risolvono tutto nei telefilm. E invece no. Qui la scienza c’entra poco. C’entra, soprattutto, la caparbietà di un uomo come Athos Agostini, il padre di Claudia, che per 10 anni si è opposto alla bellezza di quattro archiviazioni, convincendo sempre i giudici che c’erano argomenti, invece, per andare avanti.
Perché è stato perso un sacco di tempo. Lo perse, sbagliando, la Squadra Mobile dieci anni fa, pensando che s’era trattato di un incidente o di suicidio e non cercando nemmeno i segni di una possibile colluttazione in casa, di un’aggressione. Lo perse la Capasso, andando dietro a piste inverosimili. Ma gli elementi per sospettare subito di Bellatti, invece, c’erano, erano lì: e sono gli stessi che hanno condotto alle novità di oggi. C’era la mancanza degli occhiali da vista, da cui Claudia non si separava mai e che se fosse uscita si sarebbe messa di sicuro. C’era l’assurdità di andare a comprare il latte all’alba. C’era quella tuta bianca senza nessun segno di trascinamento sulla strada. C’erano quelle mani sul petto, un gesto che i criminologi ben conoscono: avviene quando l’assassino ricompone la vittima, quasi a scusarsi con lei di ciò che ha fatto. A scusarsi: perché la conosce bene. C’era il diario di Claudia (che quattro giorni prima di morire scriveva: “La situazione sta precipitando nella mia testa. Risono in condizioni disperate e non so come uscirne”). C’erano le sue esitazioni nello sposarsi, i dubbi che le erano venuti, confermati anche dalle amiche: tutto il contrario della idilliaca vita di coppia raccontata da Bellatti.
La storia che il processo si appresta a raccontarci è diversa da quella delle prime ore: un rapporto in crisi già da prima del matrimonio, una lite forse dovuta alla gelosia di lui, Claudia strozzata e poi buttata per le scale. E poi messa lì, per strada,a simulare una morte avvenuta chissà come.
Peccato che a tutto questo non possa assistere proprio papà Athos. E’ morto dieci giorni fa, prima di un momento tanto atteso da lui e da tutti quelli che hanno voluto bene a Claudia.