di Chiara Camerani e Perla Lombardo direzione@calasandra.it
03 marzo 2013
Da qualche anno a questa parte, per l’esattezza dal 1998, quando il Ministero dell’Interno ha stilato un rapporto nel quale segnalava la presenza in Italia di 9 gruppi satanico-luciferini con circa 200 aderenti, i dati diffusi dagli studiosi della materia, dai mezzi di comunicazione di massa, da adepti e fuoriusciti, si sono distinti per le stime numeriche, sempre elevate ed in continua ascesa.
Se così fosse, a fronte di un allarme sociale di questa portata, verrebbe da aspettarsi ritrovamenti giornalieri di corpi depezzati e sacrificati a Satana, omicidi rituali, minori abusati, salvo poi tirare un sospiro di sollievo riscontrando che questi famigerati corpi non si trovano, sebbene se ne ipotizzi la presenza…
Vediamo cosa dice uno studioso del calibro di Michele C. Del Re: «…se i crimini di natura satanista portati a conoscenza del pubblico, sono all’incirca 1.500 ogni anno (mi riferisco al mondo occidentale, esclusa l’America latina), si può ritenere che il “numero oscuro”, cioè l’insieme di tutti quelli che restano ignoti, è di dieci volte 1.500. Di questi quindicimila crimini satanici dovrebbero essere autori, tra congreghe e isolati, circa 150.000 persone. Questo numero indicativo – cui portano anche altri indizi – si riferisce, ripeto, soltanto al mondo occidentale. (…). Per le campagne della Toscana meridionale, si parla di quattromila sacerdoti satanici, con quarantamila seguaci; nelle Marche esistono (scrive “Fattinostri”, giugno 1993) almeno cinque congreghe sataniste, di cui 2 nel fermano, 2 nel pesarese, 1 ad Ancona.». Ma è davvero così?
Tutte queste cifre sarebbero decisamente allarmanti se fossero corredate di dati puntuali e scientifici, se fossero chiare la metodologia della ricerca, la modalità di rilevazione dei dati; se ci fossero riferimenti riscontrabili e verificabili che purtroppo, ad oggi, non sono presenti nella maggior parte dei lavori di chi afferma che Satana è alle porte.
Ecco perché l’equipe scientifica del Cepic (composta anche da Simone Lojacono e Chiara Sabatini) ha appena concluso una indagine in cui analizza 10 anni di segnalazioni e notizie giornalistiche relative a crimini satanici e pseudo satanici in Italia.
Il primo punto su cui fare chiarezza riguarda certamente la necessità di differenziare tra satanismo “religioso” come scelta spirituale o ideologica e satanismo come movente di un crimine. Sono due cose diverse. Nel primo caso dobbiamo ricordare che la nostra legislazione tutela la libertà di culto, a patto che non imponga rituali contrari alla legge. Insomma, puoi adorare Satana se non vìoli la legge. Nel secondo caso, perché si possa parlare di un crimine satanico, immaginiamo che possiamo ritenerci tutti d’accordo sul fatto che dovremmo almeno rilevare la presenza di elementi rituali tipici della realtà satanica. Ma non solo: anche di un movente adatto a compiacere Satana attraverso il danneggiamento, il sacrificio o l’atto vandalico, blasfemo o violento.
Dalla nostra ricerca, i casi che in dieci anni, in Italia, hanno implicato lesioni gravi o omicidio, attribuibili in diversa misura al satanismo, risultano essere tre, di cui due non sono classificabili come crimini rituali. Ma non basta. Dobbiamo davvero rivedere molti dei nostri attuali punti di vista su questo argomento.
Lo studio compiuto dal Cepic su dieci anni di informazione sul satanismo, in accordo con l’esperienza di molti esperti americani, ha dimostrato che nei casi in cui è stato possibile analizzare questi crimini attraverso specifici indicatori, gli elementi satanici e rituali si sono rivelati inconsistenti per la maggior parte dei casi.
In merito ai presunti crimini satanici, di cui tanto si parla, non siamo stati ad esempio in grado di trovare alcuna fondatezza per le accuse più gravi, come l’esistenza di sacrifici umani o di abusi rituali su bambini. Non c’è alcuna prova che siano accaduti in Italia o altrove.
Se poi guardiamo l’uso del linguaggio in chi dà queste affermazioni allarmistiche –siano giornalisti o rappresentanti di istituzioni- vediamo subito che è generalmente vago e scarsamente circostanziato. Ovvio che, se confrontati con precisi criteri di valutazione, queste informazioni e questi studi suscitano seri dubbi sulla loro veridicità.
A questo punto vi starete chiedendo il perché di tanti allarmi infondati. Il fatto è che questi sono riconducibili, spesso, ad associazioni o centri d’ascolto che raccolgono segnalazioni in maniera indiretta e indiscriminata, quindi non suscettibili di un riscontro oggettivo, oppure a fondamentalisti religiosi che, più o meno consapevolmente, utilizzano l’allarmismo come veicolo per promuovere il loro movimento o per ottenere attenzione.
Il risultato? Non si fa altro che alimentare preoccupazione e confusione, anche dal punto di vista delle indagini. Ne è prova proprio il recente allarme sull’aumento di furti sacrileghi e danneggiamenti di luoghi di culto. Ancora una volta si è abbandonato ogni senso critico, appuntando a Satana ogni responsabilità.
E allora riflettiamo insieme: chiese e cimiteri sono zone di comodo accesso, generalmente prive di sorveglianza e, in quanto tali, costituiscono una meta facile per giovani annoiati in cerca del brivido, senza che ciò comporti alcun patto con il Diavolo. Non è bello violare un cimitero, ma chi ha detto che c’entri per forza Satana?
Ricordiamoci che nelle frazioni o nei piccoli comuni (cioè nei luoghi in cui, secondo la nostra indagine, si verificano con maggiore incidenza proprio episodi come i furti delle ostie), il centro abitato si limita alla piazza principale, alla chiesa e al cimitero. Quindi spesso un atto vandalico avvenuto in uno di questi luoghi, viene interpretato come satanico solo in base alla pura vicinanza ad un luogo sacro.
La chiesa, d’altro canto, può custodire oggetti di valore facilmente trasportabili e semplici da rubare. Oggetti che fanno gola non solo a presunti satanisti, ma anche a ricettatori e disgraziati in cerca di facile guadagno. Come vedete, quindi, non è il luogo a definire il reato, ma il movente che c’è dietro…. Fa una bella differenza sapere se sono state solo le ostie a venire trafugate oppure i loro recipienti; se i ladri hanno lasciato simboli e tracce di una violazione effettuata allo scopo di offendere il culto, oppure se i danni sono funzionali solo a commettere il furto..
Casi come quelli delle ostie sono quelli che definiamo a “basso profilo criminale” e sono la maggioranza di quelli che abbiamo esaminato nel nostro studio (262 su 446). Li abbiamo poi suddivisi in base alla motivazione, così:
1. Matrice satanica. Comprende attività criminose come la profanazione di tombe, il furto di ostie consacrate e, in genere, tutti gli atti di evidente spregio del culto cattolico;
2. Matrice vandalica.Comprende le attività teppistiche che testimoniano, più che altro, scarso senso civico, come danneggiamenti fini a se stessi o scritte sui muri con simbologia mista o confusa;
3. Matrice ricettazione. Comprende attività criminose come i furti in chiese e/o cimiteri, furti che appaiono privi di qualsiasi aspetto di offesa, di ritualità o di simbolismi. Saranno, in genere, il valore veniale o il valore antiquario dell’oggetto a confermare la pista della ricettazione a scapito di quella satanica.
Insomma, possiamo onestamente sostenere che vandalismo, teppismo, blasfemia sono più facilmente riconducibili ad una situazione sociale di disagio, che lascia ai ragazzi un’ assenza di obiettivi e la ricerca di sensazioni forti. Altro che addebitare questi atti criminali al reclutamento da parte di una indefinita massoneria satanica che trama a livello occulto, spedendo ragazzini imberbi a rubare ostie o ad ubriacarsi per cimiteri, non si sa bene con quale convenienza! Sarebbe bene studiare episodi come quelli dei furti di ostie in base alla logica investigativa o alla psicologia della devianza, piuttosto che a linee interpretative fumose e ancora indefinite che fanno riferimento alla sociologia dei movimenti religiosi. E non usare il satanismo come “categoria cestino” in cui mettere ogni fatto di cronaca del quale restano punti oscuri. Meglio affidarsi ad esperti che possano offrire una visione obiettiva ed imparziale del fenomeno.
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