di Cristina Cotzia direzione@calasandra.it
01 marzo 2013
Lentamente, ma costantemente, proseguono le indagini per la scomparsa di Emanuela Orlandi, la quindicenne cittadina vaticana di cui non si hanno più notizie dal 22 giugno 1983. Nei giorni scorsi sono state sentite tre persone dal procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo: tra esse, ci sarebbe anche un ex allievo della scuola di musica frequentata da Emanuela, che potrebbe aver visto o saputo qualcosa di utile sull’ambiente di Sant’Apollinare, la basilica che pare sempre più al centro di tutta la vicenda. Sono in programma anche altre audizioni, sempre allo scopo di far luce sugli innumerevoli punti bui di questa scomparsa.
Sono passati quasi 30 anni da quel 22 giungo 1983, giorno in cui Emanuela, uscita dalla lezione di musica, non fece più rientro a casa. Nel corso di questi tre decenni si sono susseguite numerose teorie e ipotesi che hanno portato questo caso a essere annoverato tra i cosiddetti “misteri italiani”.
I legami che si sono via via ipotizzati sono i più svariati: da quello con l’attentato a Giovanni Paolo II a quello con la Banda della Magliana. Proprio a partire da quest’ultima pista, si sono svolte le indagini degli ultimi anni, tutte incentrate sul boss Enrico De Pedis, detto Renatino. De Pedis, morto in un agguato nel 1990, era stato sepolto in una cripta all’interno della basilica di Sant’Apollinare grazie all’autorizzazione del Vicariato di Roma, dopo che il rettore della basilica, monsignor Pietro Vergari, aveva attestato che Renatino, in vita, era stato “benefattore dei poveri che frequentavano la basilica”.
Una scelta quanto meno discutibile, considerato il fatto che De Pedis era stato coinvolto nei più grandi crimini che avevano colpito Roma in quegli anni. La “strana sepoltura”, una volta resa nota, ha destato profonda indignazione nell’opinione pubblica e, finalmente, nel giugno del 2012 si è proceduto alla rimozione della salma.
L’ispezione nella tomba di De Pedis ha portato al ritrovamento, all’interno della cripta, di circa 200 urne funerarie contenenti resti ossei. Si stanno ora svolgendo, al Laboratorio di antropologia e odontologia forense (Labanof) di Milano, lunghe e approfondite analisi su queste ossa sconosciute, che si pensa possano risalire a centinaia di anni fa. Il sospetto, anche se labile, è che tra quelle ossa possano nascondersi i resti della povera Emanuela. I risultati ufficiali dovrebbero arrivare tra due mesi. L’anatomopatologa Cristina Cattaneo ha infatti chiesto una proroga ai pm romani.
Il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, nello scorso Ottobre ha rivolto una petizione (che ha ottenuto una forte adesione, superando le 100mila firme) al segretario di Stato Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, per chiedere l’apertura di un’indagine interna al Vaticano, con la conseguente istituzione di una Commissione cardinalizia che si impegni a far emergere la verità. Secondo Pietro Orlandi, infatti, in Vaticano qualcuno conosce la verità.
In seguito alle dimissioni di Benedetto XVI, il fratello di Emanuela era anche tornato a sollecitare il Papa affinché rivolgesse un appello pubblico nel suo ultimo Angelus, per ricordare Emanuela e per dare un segnale di trasparenza, apertura e cambiamento. Ma la richiesta di Pietro è rimasta inascoltata.
L’altra pista che è stata seguita per scoprire la verità di questa brutta vicenda, vede un collegamento tra la scomparsa di Emanuela e l’attentato a Giovanni Paolo II del 13 maggio 1981. Quest’ipotesi prese piede già nel 1983. Il 5 luglio di quell’anno giunse una chiamata alla sala stampa vaticana da parte di un uomo con forte accento anglosassone, per questo ribattezzato “l’Amerikano”, il quale affermò di tenere in ostaggio Emanuela e avanzò la richiesta dell’intervento del Pontefice per la liberazione di Mehmet Ali Agca, l’uomo che aveva attentato al Papa. L’ipotesi di un collegamento venne confermata dal terrorista nel 2010, durante un colloquio con Pietro Orlandi. Ali Agca fece inoltre il nome del cardinale Giovanni Battista Re, in quanto persona informata sui fatti. Queste dichiarazioni verranno poi smentite dallo stesso cardinale.
Più volte l’attentatore ha ribadito questo collegamento; recentemente anche nella sua autobiografia in cui parla di una pista islamica per entrambi i fatti. Ma le dichiarazioni sono state subito smentite dal portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi.