di Valentina Magrin direzione@calasandra.it
Il 3 novembre 2008 il pm Rosa Muscio chiede il rinvio a giudizio per Alberto Stasi. Il 9 aprile 2009 nel tribunale di Vigevano, davanti al Gup Stefano Vitelli, ha inizio il processo. L’imputato ha chiesto il rito abbreviato. Il destino di Alberto sembra irrimediabilmente segnato: per l’opinione pubblica quel biondino con gli occhi di ghiaccio ha ormai perso la maschera da bravo ragazzo ed è diventato un mostro, un pervertito capace perfino di ammazzare la sua fidanzata.
Già, perché il movente, nell’ipotesi accusatoria, è proprio questo: Chiara, la sera precedente l’omicidio, avrebbe scoperto nel computer di Alberto i video e le foto dal contenuto pedopornografico. Tra i due ragazzi sarebbe scoppiata una lite furibonda e lei lo avrebbe minacciato di raccontare ad altri il suo inconfessabile segreto. La mattina seguente Alberto sarebbe tornato da Chiara per un tentativo di riappacificazione ma, di fronte all’intransigenza della ragazza, l’avrebbe aggredita e uccisa.
In aula, i pm chiedono che Alberto venga condannato a 30 anni di reclusione, mentre la difesa ne invoca l’assoluzione. Il 30 aprile 2009 il Gup si ritira in camera di consiglio ma quando ne esce, a sorpresa, non emette alcuna sentenza, bensì dispone che si facciano 4 nuove perizie: una medico-legale, una informatica, una chimico sperimentale e un nuovo sopralluogo del Gup in persona nella scena del delitto. Tutto da rifare, quindi. Le prove portate da accusa e difesa non hanno convinto il Gup Vitelli della colpevolezza o meno di Alberto Stasi.
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