di Andrea Minotti
(LEGGI LA TERZA PARTE)…Bradehoft è l’ultima vittima di Dahmer. A fermare la furia assassina è Tracy Edward: il 22 luglio 1991 Dahmer gli somministra la solita dose di sonnifero, lo ammanetta ad un braccio e lo costringe a entrare nella camera da letto. La stanza è tempestata di foto di cadaveri smembrati e impregnata di odore nauseante proveniente dai barili. Con la scusa di dover andare in bagno, Eddward colpisce Jeff e fugge dall’appartamento degli orrori. Poco dopo ferma una pattuglia della polizia, convincendoli ad andare a controllare. Gli agenti fanno una scoperta sconcertante: trovano 83 foto di corpi semi-smembrati, una testa e parti di corpi nel frigo, resti di tronchi umani nei barili e genitali mummificati.
Uno scenario sconvolgente che ricorda un episodio avvenuto nel 1957, quando scomparve la commessa di una drogheria di Plaenfield (Wisconsin), di nome Bernice Worden: il suo corpo decapitato venne ritrovato nella casa di Edward Theodore Gein, conosciuto come Ed Gein o il macellaio di Plainfield. Anche in quell’abitazione, come a casa di Dahmer, c’erano nasi, ossa umane, teste e pelle usati come ornamenti.
Ma torniamo al cannibale di Milwaukee. Jeffrey, arrestato, comincia a confessare. Gli ci vorranno sei settimane e 159 pagine per spiegare come ha ucciso e fatto a pezzi 17 uomini nell’arco di 13 anni di attività. Al processo la difesa come ultima arma prova a far dichiarare Dahmer pazzo, non potendo giustificare i suoi crimini in altro modo. Ritenuto colpevole e condannato a 15 ergastoli, Dahmer si scuserà con i famigliari delle vittime, dicendosi pronto a scontare una condanna di 937 anni di reclusione. La sua vita, però, sarà molto più breve.
Ecco il testo di una lettera inviata da Jeffrey Dahmer al giudice incaricato del processo: «Ora è finita. Qui non si è mai trattato di cercare di essere liberato. Non ho voluto mai la libertà. Sinceramente, volevo la pena capitale per me stesso. Qui si è trattato di dire al mondo che ho fatto quello che ho fatto, ma non per ragioni di odio. Non ho odiato nessuno. Sapevo di essere malato, o malvagio o entrambe le cose. Ora credo di essere stato malato. I dottori mi hanno parlato della mia malattia, e ora mi sento in pace. So quanto male ho causato… Grazie a Dio non potrò più fare del male. Credo che solo il Signore Gesù Cristo possa salvarmi dai miei peccati…non chiedo attenuanti.»
Tra l’aprile e il maggio del 1994, mentre è rinchiuso nel Columbia Correctional Institute di Portege, Dahmer decide di farsi battezzare. Se fuori dalle mura del carcere Jeff era un predatore, nelle stesse mura diventa la preda preferita degli altri detenuti; molti vogliono la sua testa, tant’è che nell’agosto dello stesso anno riesce a sopravvivere ad una coltellata inflittagli nella cappella della prigione.
Il 28 novembre 1994 Christopher Scarver, un detenuto schizofrenico, ruba un bilanciere dalla palestra del carcere e colpisce alla testa Dahmer, che morirà durante il trasporto in ospedale a causa del forte trauma cranico. Il suo cervello verrà espiantato e conservato per cercare di capire se la sua follia, la sua ferocia disumana possano avere una spiegazione fisiologica. FINE
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