di Alessandro Feri
Intervista ad Enrico Manieri, perito balistico che ha svolto il ruolo di consulente tecnico durante il processo d’appello a Pietro Pacciani. Enrico è il blogger Henry62, noto in rete per essere il fondatore e il curatore del più completo sito di analisi tecnica sugli attentati terroristici dell’ 11/09/2001, oltre che per il suo blog sul mostro di Firenze.
Ciao Henry, innanzitutto una domanda introduttiva. Qual è stato il tuo ruolo nel processo Pacciani?
Ho iniziato ad interessarmi del caso solo dopo la pubblicazione del libro di Perugini e la successiva condanna di Pacciani in primo grado a più ergastoli. Dopo la sentenza di condanna, contattai gli avvocati storici di Pacciani per avere da loro copia delle perizie balistiche, ma ebbi un rifiuto. Scrissi allora al dott. Ognibene, presidente della Corte d’Assise che giudicò e condannò Pacciani, che mi autorizzò ad avere copia delle perizie balistiche eseguite sulla cartuccia inesplosa calibro .22LR trovata nell’orto di Pacciani durante la maxi-perquisizione avvenuta fra il 27 aprile 1992 e il 10 maggio.
All’epoca ero iscritto come pubblicista all’ordine dei giornalisti e pubblicai quindi un articolo su una rivista specializzata del settore armiero con le mie valutazioni sulle perizie balistiche del processo Pacciani, in cui evidenziavo e documentavo una serie di inesattezze, fra cui anche errori di metodo, che a mio parere inficiavano le conclusioni dei periti. Scoprii che la cartuccia era stata distrutta nella sua integrità durante le perizie, che la polvere della carica non era stata analizzata e non si sa ad oggi che fine abbia fatto, mentre sulle immagini della cartuccia rilevai impronte e tracce non descritte dai periti. Una volta pubblicato l’articolo, che fece molto rumore nell’ambiente, venni contattato dai difensori di Pacciani, che mi proposero di affiancarli nel processo d’appello, collaborando fin da subito nella stesura dei motivi aggiunti d’appello. Di fatto divenni quindi perito di parte per la difesa storica di Pacciani nel processo in Corte d’Assise d’Appello a Firenze. Ovviamente senza percepire alcun compenso e tutte le spese vive rimasero sempre a mio completo carico.
In cosa è consistito il tuo lavoro tecnico sulla cartuccia inesplosa? Quali sono stati i risultati e le evidenze emerse?
Il mio lavoro fu eseguito sulle perizie del primo grado e sulle fotografie ad esse allegate, cioè sul materiale redatto dai periti con il rito dell’incidente probatorio prima che si aprisse il processo a Pacciani. Non ebbi mai la possibilità di analizzare direttamente i reperti, perché il processo d’appello si svolge sulla scorta degli accertamenti tecnici già eseguiti durante il primo grado di giudizio. Oltre a questo, supportai la difesa, in particolare l’avv. Bevacqua, nella confutazione tecnica di quanto veniva ipotizzato, a livello di ricostruzione delle dinamiche, dalle parti civili e dalla pubblica accusa.
Rilevai sulla cartuccia trovata nell’orto di Pacciani la presenza di tracce non descritte dai periti nel primo grado e trovai palesi errori di metodo nelle perizie, che portai all’attenzione del processo in relazioni di parte per la difesa. Alcuni di questi elementi di dubbio furono fatti propri sia dalla pubblica accusa che dalla Corte, dato che ne trovai menzione nelle motivazioni della sentenza di assoluzione in secondo grado. Il principale e determinante risultato del mio lavoro fu di instillare in tutti il ragionevole dubbio sul lavoro dei periti che analizzarono la cartuccia trovata nell’orto di Pacciani, al punto che lo stesso procuratore dott. Tony chiese alla Corte l’espletamento di una nuova perizia balistica sulla cartuccia o il proscioglimento di Pacciani, come poi avvenne.
Hai anche avuto modo di occuparti dello Skizzen Brunnen, il blocco da disegno che per molti aveva un valore indiziario contro Pacciani? In ogni caso qual’è la tua opinione su quell’oggetto?
Non mi occupai del blocco da disegno. La mia opinione, facendo tesoro di quanto emerso nel processo d’appello in merito sia al blocco sequestrato a Pacciani che a quello consegnato spontaneamente agli investigatori dalla sorella di una delle due vittime tedesche di Giogoli del 1983, è che non abbia nulla a che fare con le vittime tedesche.
Nel corso degli anni è stato spesso trattato l’argomento dei soldi di Pacciani. Su quanto ammontasse e quanto fosse significativo il patrimonio del “Vampa” si sono registrate ricostruzioni molto diverse fra loro: per alcuni era troppo ingente, per altri “compatibile” con un contadino estremamente tirchio e risparmiatore. Qual è la tua opinione in proposito? A quanto ammontava realmente questo patrimonio e quanto poteva essere rilevante?
Non ho dati specifici e mi rifaccio alla letteratura che ha trattato l’argomento, in particolare a quanto scritto da Giuttari e Lucarelli nel libro “Compagni di sangue” e nella terza appendice denominata “Scheda sulla situazione patrimoniale e finanziaria di Pacciani”. Secondo tale fonte, la cifra totale spesa da Pacciani nel tempo per acquistare buoni postali era di 152 milioni di Lire, ma il dato potrebbe essere falsato dal doppio conteggio dei rinnovi alla scadenza dei titoli. La cifra indicata, stando a quanto si può leggere, non era quella totale effettiva investita e disponibile in titoli ad una certa data, ma la somma dei flussi spesi negli anni per acquistare i titoli. Oltre a questi titoli, Pacciani aveva due piccole case, poco più di stamberghe da lui stesso ristrutturate, pagate in contanti, e una autovettura Ford Fiesta.
Cosa ti ha spinto ad aprire un blog sul mostro di Firenze e dunque a continuare ad avere un interesse per questa vicenda di cronaca nera e giudiziaria?
Quando Pacciani venne assolto, ovviamente, i media si scatenarono e vidi persone che avevano avuto una minima parte e forse nemmeno quella, accreditarsi totalmente i meriti di quella assoluzione. Ci furono trasmissioni e articoli in prima pagina, ma tutto restava sempre ad un livello superficiale, senza andare realmente nel merito di quella straordinaria assoluzione. Vidi delle vere aste battute per strada per aggiudicare ad uno o all’altro canale la prima intervista esclusiva di Pacciani libero e maturai la decisione di non partecipare a quell’indegno spettacolo, in cui nessuno pensava alle vittime del mostro e ai loro familiari ma tutti volevano avere Pacciani ai loro microfoni.
La mia partecipazione al processo d’appello era motivata da questioni etiche e per quel motivo decisi di ritirarmi nell’ombra, dove rimasi per molti anni. Non mi interessai più della vicenda giudiziaria e dei suoi processi successivi, perché ritenni di aver fatto la mia parte. Nel dicembre 2008 vidi il mio nome in un forum di discussione in cui si parlava dell’inchiesta sui delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze” e decisi quindi di aprire un blog in cui poter rendere pubblico il mio contributo tecnico alla vicenda. Il blog ebbe subito un inaspettato successo di visite e di commenti, per cui tornò poco alla volta il desiderio di approfondire alcune vicende legate sia al processo Pacciani che a quelli successivi, conclusisi con la condanna di Vanni e Lotti, i “compagni di merende”. Concentrai la mia analisi sul delitto del 1985 di Scopeti, su cui, nel tempo, iniziai ad avere dubbi sempre più forti relativamente alla dinamica accreditata ufficialmente nelle sentenze dei processi. Più leggevo la “confessione” di Lotti e la testimonianza di Pucci e più aumentavano i dubbi.
Cercai allora di recuperare materiale documentale su quel delitto: mi rivolsi nuovamente agli avvocati storici di Pacciani con cui già avevo collaborato, ottenendo nuovamente un rifiuto e nessuna collaborazione pratica, quindi decisi di percorrere altri canali, contattando altri avvocati che avevano avuto un ruolo sia nei processi ai “compagni di merende” che nella pista perugina. Contattai periti che all’epoca erano nell’equipe del dott. De Fazio, parlai con Carabinieri, oggi in pensione, che all’epoca erano stati sulle scene del crimine, sentii giornalisti e reporter che per anni avevano seguito le drammatiche vicende degli omicidi di Firenze, parlai con specialisti delle diverse tecniche di indagine sui reperti e cercai di avere informazioni da tutti costoro su ciò che avevano direttamente visto. Il grande pubblico aveva a disposizione un elevato numero di libri, articoli e programmi televisivi, ma nessuno di questi raccontava come stessero davvero le cose, continuando a riferirsi o alla versione ufficiale o ad una visione troppo di parte. Il problema era quindi quello di cercare di dare un’informazione più esaustiva sui molti aspetti dubbi di questa vicenda che, dalla cronaca, stava ormai entrando nella storia. L’inchiesta giudiziaria sui delitti del “Mostro di Firenze” è ormai entrata di diritto nella storia di questo nostro Paese.
Passiamo all’argomento dell’arma del mostro di Firenze. Per gli “ignoranti in materia”, com’è possibile risalire ad un tipo e/o modello specifico di arma sulla base del ritrovamento dei bossoli?
Quando un’arma semiautomatica spara, espelle dei bossoli che normalmente restano sulla scena del crimine. Una volta repertati, questi bossoli raccontano le caratteristiche dell’arma che li ha esplosi. Sul fondello del bossolo restano impresse le impronte del percussore, dell’espulsore e dell’estrattore. Conoscendo queste caratteristiche e i dati che si possono avere dall’analisi delle palle estratte dai corpi delle vittime (numero di principi della rigatura, senso della rigatura e passo) si può identificare la Classe di appartenenza dell’arma, cioè l’insieme di tutti quei modelli che condividono tutte le medesime caratteristiche geometriche e fisiche di cui abbiamo parlato.
Numerosi modelli anche di produttori diversi possono appartenere alla medesima Classe. Identità di classe non significa aver individuato l’arma utilizzata, ma aver ristretto il campo di ricerca a quei modelli e marche che hanno quelle determinate caratteristiche. Esistono delle raccolte di informazioni che raggruppano i modelli per classe di appartenenza. Queste raccolte di dati sono in genere di provenienza americana o tedesca: l’accesso ai dati è riservato agli operatori delle forze dell’ordine, ai laboratori istituzionali e, in generale, non sono disponibili ai privati.
E’ certo e scontato che l’arma usata dal mostro fosse una Beretta Calibro 22? Se così non fosse, quali possibili tipi/modelli d’armi da fuoco “alternativi” sono ipotizzabili?
Non è affatto certo che l’arma del “Mostro” fosse una Beretta della serie 70, anche se molto probabile, perché la certezza non può esistere in assenza dell’arma sequestrata. Solamente un confronto balistico fra i reperti delle scene del crimine con bossoli e palle sparate con l’arma sequestrata potrebbe dare questa conferma, in caso di identità balistica e quindi di univocità di riconoscimento dell’arma. Al momento l’unica affermazione che si può fare è che l’arma del “Mostro” appartiene alla medesima classe delle pistole Beretta in calibro .22LR della serie 70. Niente più di questo. Tutte le armi di quella classe sono delle possibili alternative; ritengo fosse compito degli investigatori definire i parametri della ricerca, non certo di un consulente di parte, il cui unico compito era di valutare quanto consistenti fossero gli elementi di prova contro Pacciani.
E’ possibile avere una certezza assoluta sull’unicità dell’arma per tutti i delitti del mostro (dal 1968 al 1985)?
Se ipotizziamo che i reperti sono originali e non siano stati nel tempo confusi o alterati, la risposta è si: l’arma utilizzata dal “Mostro” è unica dal duplice delitto del 1968 a quello del 1985. Vorrei fare una considerazione che deve farci capire come, a mio avviso, si debba procedere: l’arma del “Mostro” potrebbe esistere come arma a sé stante ma potrebbe anche non esistere in questa accezione… Per esempio, potrebbe anche essere un’arma ottenuta per assemblaggio alla bisogna di componenti presi da due o più armi dello stesso modello o da pezzi di ricambio. Questi componenti, uniti per l’occasione dei delitti, avrebbero potuto dare origine ad un’arma nuova, l’arma del “Mostro”: canna di una pistola, fusto e carrello/otturatore di un’altra, caricatore da un’altra arma ancora.
E’ un’ipotesi, che potrebbe spiegare perché l’arma non venne mai trovata: in realtà non esisteva!
L’arma del mostro può essere stata modificata nel tempo (inteso come lasso 1968-1985)?
Come organizzazione meccanica e caratteristiche geometriche della canna direi di no, perché altrimenti avremmo rilevato armi di diversa classe di appartenenza. Potrebbero essere state modificate alcune caratteristiche secondarie atte a migliorarne il porto o l’occultabilità, oppure potrebbe essere stato aggiunto un caricatore più capiente, magari proveniente da un altro modello di arma compatibile.
Nel delitto del 1983 il mostro riesce a mettere a segno tutti i colpi sulle vittime, sparando da entrambi i lati di un furgone. Invece in altri casi qualche proiettile va “a vuoto” o comunque non colpisce la vittima. Per compiere i delitti del mostro era necessaria una particolare destrezza nello sparare? Il mostro che tipo di “sparatore” poteva essere?
Non era necessaria una particolare destrezza o capacità di tiro, quanto invece un grande sangue freddo e capacità di reazione agli imprevisti. L’assassino spara da breve distanza su vittime sorprese in atteggiamenti intimi o comunque non all’erta. Si tratta di un tiro istintivo, che avviene senza mirare secondo le impostazioni accademiche del tiro da poligono. E’ l’istinto del predatore che prevale sull’attività sportiva: a mio parere il “Mostro” non era un frequentatore di poligoni, se non forse per procurarsi le munizioni. Mi sembra invece fuor di dubbio che l’assassino avesse delle buone nozioni di anatomia del torace umano.
Nel caso del mostro i bossoli Winchester Serie H sparati risultano caratterizzati dallo stesso “segno” lasciato del percussore. Sulla base del “segno” si è ipotizzato che l’arma del mostro fosse usurata e/o difettosa? Ritieni corretta questa ipotesi? Non ritengo corretta questa valutazione e, anzi, la trovo molto pericolosa perché restringe arbitrariamente il numero delle possibili armi da controllare, senza effettivi motivi tecnici. Se fosse stata un’arma nuova con un difetto di lavorazione anziché un’arma vecchia ed usurata? Sono sempre pericolosissime queste indicazioni in assenza di elementi oggettivi e certi.
In passato fu proposta, anche fra gli inquirenti, l’ipotesi (poi abbandonata) che per il delitto del 1983 a Giogoli fossero state usate due armi diverse? Come nasce questa tesi e come la valuti?
Ogni tanto riemerge questa ipotesi: nasce dalla constatazione che il numero di bossoli repertati è sempre inferiore al numero di colpi che avrebbero attinto le vittime, quindi qualcuno ipotizza la presenza di una seconda arma, un revolver, che non lascia bossoli sul terreno. In passato un consulente ipotizzò l’uso di due armi diverse perché, secondo lui, il numero dei colpi sparati nei primi delitti comportava un caricatore a 8 colpi e quelli successivi di 10 colpi. A mio parere sono entrambe ipotesi infondate.
Non sappiamo se l’arma del mostro (mai ritrovata nonostante i controlli a tappeto) fosse regolarmente detenuta oppure un’ “arma clandestina”. Trovarla era dunque la classica ricerca dell’ago nel pagliaio?
Il problema è che non sappiamo se realmente esista un’arma del “Mostro” o se questa nascesse solo in occasione dei delitti e venisse quindi poi smontata e nascosta. Certamente la ricerca di un’arma senza alcun altro indizio è difficilissima, direi quasi impossibile se non supportata da altri aiuti investigativi di natura non tecnica. Non si può certo fare una colpa di questo agli investigatori.
In alcuni delitti il mostro utilizza proiettili ramati, in altri a piombo nudo. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di un proiettile ramato rispetto ad uno a piombo nudo e viceversa? Su che basi credi che il mostro scegliesse il tipo di proiettile?
Non credo che il “Mostro” scegliesse le sue munizioni, ma semplicemente utilizzava quelle che aveva disponibili. In un’arma corta l’uso delle due diverse munizioni non fornisce vantaggi apprezzabili, soprattutto sulle brevissime distanze di impiego dei delitti di Firenze.
E’ teoricamente possibile estrarre delle impronte digitali dai bossoli lasciati dal mostro? Potrebbe essere un metodo per avere una “traccia” del killer?
A livello di ipotesi è sicuramente possibile, il problema è che ormai i reperti sono stati inquinati da decenni di manipolazioni da parte di periti, tecnici e appartenenti alle Forze dell’Ordine, quindi dubito che sia una pista utile.
Parlando in generale, si è sentito spesso l’assunto: “un’arma che ha ucciso non si vende e non si presta”. Non credo che tale affermazione sia molto veritiera, perlomeno in ambito criminale e per il mercato nero. Tu cosa ne pensi?
Non conosco le dinamiche del mercato criminale: certamente un’arma “sporca” è molto rischiosa per chi dovesse esserne sorpreso in possesso, perché si troverebbe ad essere imputato di tutti i delitti compiuti con quell’arma. Credo sia corretto pensare che un’arma “sporca” nel giro della criminalità venga fatta sparire, ma nel caso del “Mostro” bisognerebbe prima capire se sia corretto parlare di criminalità. Una affermazione del genere avrebbe senso se si investigasse in ambienti contigui ad un certo stile di vita, ma mi sembra che tali ipotesi appartengano ad un lontano passato e non abbiano trovato alcun tipo di riscontro.
La vicenda del mostro è, sia storicamente che giudiziariamente, decisamente controversa. Il compito di questa intervista non è però quello di analizzare ed opinare le sentenze di condanna ed assoluzione. Credi che in futuro ci sia qualche possibilità di avere una “verità storica” oggettiva (o quantomeno ampliamente condivisa) sull’identità del mostro di Firenze? Oppure il mostro rimarrà sempre uno dei tanti, troppi “misteri italiani”?
La verità storica dovrà essere raggiunta unicamente dall’analisi dei documenti. A meno di clamorosi colpi di scena, come confessioni sul letto di morte o buste lasciate ad un notaio con elementi concreti di prova (l’arma? I feticci?) credo sia difficile ipotizzare una simile conclusione. La vicenda del “Mostro” ha cambiato i costumi italiani nella zona di Firenze, ha introdotto dei modi di dire che sono entrati nell’uso comune e ha determinato il successo professionale ed economico di alcuni protagonisti delle indagini, ma ha lasciato indietro, dimenticati da tutti, i famigliari e le vittime. Credo che la ricerca della giustizia debba proseguire e mi auguro che prima o poi qualcuno si occupi di questo cold case italiano: i primi delitti della serie non hanno un colpevole e anche sui condannati per gli ultimi delitti troppi elementi di dubbio non consentono di scrivere la parola fine su questa vicenda.
Schematicamente, quali sono i punti oggettivi della vicenda? I pochi punti fermi sui quali i posteri dovrebbero fondare una ipotetica ricerca della verità…
Bella domanda: certamente i reperti e i verbali di sopralluogo con le immagini della scena del crimine. Forse nuove indagini tecniche potrebbero dare stimolo alle indagini, ma il vero problema è, a mio parere, utilizzare un metodo di analisi e di indagine che analizzi tutti gli elementi dei delitti, visti in una serie omicidiaria coerente che si sviluppa in un arco di parecchi anni, con una evoluzione dell’assassino e del suo modo di uccidere. Io parlo di assassino unico perché non vedo alcun motivo che imponga di pensare alla presenza di più persone sui luoghi dei delitti, anche se le sentenze sono andate nel senso di una serie di omicidi compiuti da una combriccola di alcolizzati di paese, spinti forse da interesse economico o da altre motivazioni poco chiare che spaziano, a seconda delle ipotesi, dalla perversione sessuale all’esoterismo.
Come primo passo si dovrebbero verificare le testimonianze del delitto di Scopeti, senza alcun pregiudizio, e valutare l’attendibilità dei testimoni. Quindi si dovrebbero approfondire le indagini su alcuni nomi che sono comparsi nelle indagini e di cui non si sa praticamente nulla, in particolare ritengo sarebbe importante saperne di più su Lotti e sulla sua vicenda personale negli anni dei delitti, sulle sue frequentazioni nel periodo dal 1974 al 1985. Anche altre testimonianze dovrebbero essere rilette alla luce dei verbali rilasciati a caldo e successivamente modificate nel corso delle udienze, in particolare credo sarebbe interessante saperne di più su cosa effettivamente vide la teste Ghiribelli la domenica in cui sarebbe ufficialmente avvenuto il delitto degli Scopeti, se davvero era presente in via degli Scopeti…
Quali sono, a tuo parere, le maggiori “stranezze” che caratterizzano questi delitti seriali? Le lunghe pause fra i primi due delitti? La freddezza e l’estrema ripetitività/ciclicità del mostro? Oppure che altro?
Non credo ci siano stranezze nel comportamento del “Mostro”, se si considera la serie di delitti nel suo complesso. Credo sia sbagliato etichettare come stranezza ciò che non si riesce a spiegare adeguatamente secondo i nostri canoni di valutazione. Il comportamento del “Mostro” non deve essere confrontato con quello che si ritiene debba essere un comportamento “canonico” di chi commette delitti del genere. A mio parere il “Mostro” non deve essere criticato o giudicato, ma deve essere prima di tutto studiato. Tutti coloro che nel corso degli anni affrontarono l’argomento da un punto di vista tecnico-professionale lo fecero posizionandosi su un piedestallo e cercando, da questa altezza, di comprendere ciò che il “Mostro” provava o faceva. Quanti accertamenti hanno compiuto questi periti negli orari in cui il “Mostro” colpiva? Hanno forse provato a muoversi nel buio lungo i sentieri dei boschi e dei campi? Questo è il vero problema e la vera stranezza: del “Mostro”, in realtà, non sappiamo proprio nulla.
Come ultima domanda sarebbe troppo scontato chiedere: “Chi era il mostro di Firenze?”. Visto che sei appassionato/competente di balistica ti pongo la questione in modo più libero e vago…. Come ti immagini colui che sparava alle coppiette (sempre che fosse sempre lo stesso dal ’68)? Sia dal punto di vista sociale, che psicologico, che fisico…
In realtà non mi sono mai posto la questione, perché penso che il tecnico debba limitarsi ad esprimere pareri strettamente legati al proprio settore di competenza. Da persona qualunque penso invece che il “Mostro” possa essere riconducibile a due possibili figure, o meglio stereotipi: una persona di cultura e di elevato ceto sociale, mai entrato nelle indagini, affetto da turbe sessuali oppure una persona di basso livello economico e sociale che sfoga istinti repressi in questo modo, per rivalersi della società che lo ha emarginato, in particolare delle donne che lo respingono; in questo secondo caso la persona potrebbe anche essere stata coinvolta nelle indagini. Dal punto di vista fisico immagino il “Mostro” come un uomo dal fisico prestante e che all’epoca del primo omicidio, cioè quello del 1968, visto che per me l’arma e la mano che l’impugnava erano sempre le stesse fin dal delitto di Signa, potesse avere sui 25 anni.
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