di Master Evo, Paolo Cochi, Alessandro Feri
Il 29 gennaio 1984, il quotidiano La Città, pubblicò l’intervista al procuratore capo Enzo Fileno Carabba :
“E’ un’inchiesta terribilmente difficile. E’ un giallo degno di Agatha Christie. E’ di enorme difficoltà. C’è tutta una gamma, un ventaglio enorme di ipotesi. Si può pensare a colui che rinnova un trauma antico; al moralista; al vendicatore del perbenismo; al maniaco sanguinario che gode del sangue e anche a un’associazione a delinquere di guardoni se ci si vuole divertire. Ma io voglio dati di fatto, su cui dopo lavorare dal punto di vista psicologico.”
Enzo Fileno Carabba, fece anche un appello alla prudenza e di non appartarsi in auto di notte. Con Mele e Mucciarini in carcere soltanto per il delitto del 1968, la tensione tra la popolazione si abbassò.
Domenica 29 luglio 1984, sullo schermo dai colori sbiaditi e un po’ traballanti, una fila di majorette vestite di bianco guida le evoluzioni di pacifici plotoni armati di fanfare, che a tempo di musica formano e disfano giganteschi anelli umani. Visti dall’alto riproducono suggestivamente i 5 cerchi incrociati inventati da Pierre de Coubertin. E’ caldo a Los Angeles, come è caldo nel bel paesino di Vicchio: settemila chilometri e 9 ore più ad ovest. Quella domenica mattina la RAI sta mandando in differita dallo stadio Coliseum l’apertura della XXIII edizione dei giochi olimpici e tra i tanti spettatori ci sono anche Claudio Stefanacci e suo fratello Sauro. Claudio deve aver immaginato la sua ragazza nei panni di una delle majorette, perché anche Pia Rontini sfila da Viareggio a San Casciano alla testa di plotoni di fanfare, seppure meno pretenziose: quelle della folk band del paese di Vicchio.
A quell’ora, però, Pia sta facendo tutt’altro. Lavora al bar della stazione, ma non è il suo turno normale perché eccezionalmente quel giorno si è accordata con la collega per scambiarsi gli orari: avrà la serata libera a differenza degli altri giorni…
Qualche ora dopo, e questa volta solo 7 chilometri più ad ovest, in una tavola calda sulla provinciale tra Borgo e Vicchio, una coppia giovanissima sta ordinando qualcosa da bere e un piatto di cozze, forse un piccolo preludio alle vicinissime vacanze estive da trascorrere al mare.
Nessuno probabilmente farebbe caso a loro se non fosse per lo strano comportamento di un uomo. Il gestore della tavola calda lo ricorderà così: “Alto, robusto, stempiato con i capelli molto corti e biondicci sul rossiccio, un grosso anello quadrato al dito. E’ entrato poco dopo la coppia ordinando una birra, poi si è seduto all’aperto scrutando insistentemente i due ragazzi- “…li scrutava con intensità, amarezza, rabbia e continuità. Ricordo perfettamente che aveva la mano destra davanti alla bocca, come se volesse coprire il movimento che faceva con la bocca…Almeno a mio giudizio non poteva essere assolutamente un tic” circa 24 ore dopo saranno esattamente queste le parole usate con i carabinieri dal gestore Bardo Bardazzi.
Qualche ora ancora e Pia ritorna a casa per cenare con la madre. Sono le 21 o poco più quando la ragazza esce per raggiungere il fidanzato. Meno di 500 metri di cammino verso un destino assurdo, un cammino da cui nessuno la rivedrà più tornare viva, né lei né Claudio.
Quando intorno alla mezzanotte i Carabinieri ricevono la prima telefonata dalla signora Stefanacci, mezzo paese si sta già dando da fare per cercare i due giovani, perché, anche se è da poco che mancano, quelli sono gli anni del mostro di Firenze: una coppia che ritarda a rientrare, anche solo di un ora, getta nel panico parenti ed amici.
Intorno alle ore 3, è Piero Becherini a trovare la panda infilata in una stradina nei campi de La Boschetta, nei dintorni di Dicomano. L’uomo si è ricordato di aver visto tempo prima l’auto di Claudio sbucare da quella stradina sulla sagginalese: un posto in più dove cercare…E’ quello giusto purtroppo. Il ragazzo è rannicchiato nel vano posteriore, da dove per far spazio nella piccola utilitaria è stato tolto il sedile. Claudio è completamente ricoperto di sangue, sgorgato da una decina di ferite da taglio e da tre d’arma da fuoco. Pia non c’è, ma non è stata più fortunata. Il suo cadavere giace a 7 metri sull’erba del campo, orrendamente straziato, inequivocabilmente dalla mano del mostro. Il medico legale appurerà in seguito che all’omicida è bastato un solo colpo di calibro 22 per ucciderla, un colpo che le ha centrato il viso forse dopo averle trapassato un braccio. A quel primo colpo è sopravvissuta solo qualche minuto ed in stato di assoluta incoscienza, ma nel campo ci è stata portata solo quando era già morta, come dimostrano i graffi del trascinamento privi di sangue.
Alle 3:45 qualcuno che si dimentica di lasciare il proprio nome avvisa i CC di Borgo. Un’ora dopo, quando le gazzelle della stazione di Vicchio sono già sul posto, qualcun’altro telefona nuovamente per segnalare che alla Boschetta c’è stato un incidente con un autocarro coinvolto. Questa volta però il nome lo lascia: “mi chiamo Farina, sono un fornaio della zona” dice. Niente di particolarmente strano se non fosse che In zona non esiste nessun “fornaio Farina” e che non c’è neppure alcun autocarro alla Boschetta. Un fornaio invece c’è davvero in questa storia: è il povero detenuto Mucciarini, che in quelle ore per l’opinione pubblica dovrebbe essere ancora il mostro e a voler forzare la mano alla fantasia, esisterebbe anche un autocarro, quello per il cui furto Francesco Vinci ancora soggiorna nelle patrie galere. Qualcuno ha dato prova di un feroce sarcasmo con quella telefonata, ma chi sia nessuno lo scoprirà mai…
Poco prima delle 5, un primo ufficiale di PG giunge sul posto per verificare ufficialmente il fatto; non è quello di Vicchio però, che quella sera non è di turno. Trattasi del capitano Sticchi, che è dovuto partire da Pontassieve e quando arriva non può che constatare impotente il settimo duplice omicidio del mostro di Firenze.
Se non bastassero le orribili mutilazioni sul corpo della giovane, c’è anche un bossolo Winchester che il militare rinviene sul terreno a 40 cm dalla ruota anteriore destra. La scientifica, tre ore dopo, all’interno dell’auto ne troverà altri quattro identici a quello, e identici a tutti gli altri esplosi in 16 anni dall’arma del mostro.
Quando la mattina di Lunedì 30 la Nazione accosta alla parola “Terrore” una foto delle due giovanissime vittime che si scambiano un bacio innocente, l’effetto sull’opinione pubblica è di ottenerne la totale attenzione, anche quella di Bardo Bardazzi, che in quella foto riconosce la coppia “attenzionata” dall’uomo biondiccio il giorno prima nel suo locale
Davanti ai Carabinieri Bardazzi racconta la sua storia quello stesso giorno. C’è qualche discrepanza negli orari e la ricostruzione della giornata trascorsa da Pia, ma quando una collega della ragazza riferisce di uno strano personaggio, dai capelli biondicci sul rossiccio, che aveva importunato lei ed un altra barista il sabato precedente gli investigatori cominciano a prendere molto sul serio la testimonianza di Bardazzi, tanto d’arrivare a chiedere al gestore della tavola calda di osservare la folla presente al funerale delle vittime, nel tentativo di identificare il sospetto nel caso costui si trovasse per caso fra le persone presenti.
Non succederà nulla e la pista del biondino rossiccio scivolerà nell’oblio, come era capitato a tante altre prima. Forse il Bardazzi quel giorno ha visto realmente il mostro che seguiva le sue prossime e imminenti vittime? Tendenzialmente alla domanda rispondono si coloro i quali credono che il serial killer pedinasse le proprie vittime. Maggiore scetticismo c’è invece fra coloro che ritengono che le vittime fossero generalmente scelte “at random”: in tal caso la casualità della presenza della coppia Rontini-Stefanacci alla Boschetta quella sera risiederebbe nel fatto che la vittima femminile avrebbe deciso di uscire “all’ultimo minuto”, su suggerimento della madre. Un “ultimo minuto” eccezionale per giunta, proprio perché di norma la Rontini in quella fascia oraria lavorava al bar.
Quello di questo omicidio è un copione già visto, con una nuova variante però: chi ha ucciso non si è accontentato del primo trofeo ed ha mutilato anche un seno: il sinistro.
Dalle pagine dei giornali, per anni, i soloni della psichiatria si erano sbizzarriti nel produrre tesi e profili che spiegassero l’agire del mostro, spingendosi fino a tirare in ballo un originale teoria sul legame tra reverenzialità per il seno sinistro e complesso edipico. Il mostro, avevano sentenziato, non colpisce mai questa parte anatomica poiché afflitto da un imponente complesso edipico. Il mostro, dunque, è un mammone, squinternato e impotente…
Altri soloni, dal 29 Luglio 1984, rinfacceranno quella tesi ai loro predecessori, prospettando che proprio tali parole abbiano indotto l’assassino a fare quell’ulteriore passo nella follia per dare una lezione a chi sembrava non aver capito nulla del suo agire.
Da quel momento comincerà una rincorsa mediatica di piedi che si pestano a vicenda mentre calcano tutti lo stesso terreno cimiteriale…
Venne istituita un’apposita task force congiunta Polizia-Carabinieri , a capo della quale venne nominato il commissario Sandro Federico, con il compito di occuparsi esclusivamente del caso. Parallelamente si affidò ad un pool di quotati criminologi una consulenza perché stilassero il possibile profilo dell’uomo che si stava cercando. Il professor De Fazio, criminologo di fama dell’università di Modena, raccolse il meglio dei suoi collaboratori per stilare una perizia comparativa dei vari omicidi in modo da riportare a unità le tracce lasciate dal killer fino a quel momento. Nel mentre la neonata task force, che prese l’acronimo (a dire il vero un po’ cinematografico) di SAM, sigla di Squadra Anti Mostro, si preoccupò di organizzare un piano di intervento rapido nella malaugurata ipotesi che si verificasse un nuovo evento delittuoso. Prima ancora però fu preso un altro provvedimento eclatante, il quale sicuramente non mancò di generare notevoli polemiche, ma che spiegava bene che cosa volesse dire ricominciare tutto da capo. Il provvedimento consisteva nel farsi consegnare dalle anagrafi di tutti i comuni della provincia di Firenze i nominativi degli uomini single, o che vivevano con familiari ma non essendo sposati, in età compresa tra i 30 e i 60 anni. L’obiettivo era quello di stilare una classifica “a priori” dei possibili sospetti, uno screening “molto” di massa che rendeva bene l’idea di come la caccia al mostro fosse, drammaticamente, la ricerca di un ago nel pagliaio.
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