Trieste, 02 luglio 2011
“Non doversi procedere per intervenuta prescrizione”: ecco quanto stabilito dal Tribunale dei Minori di Trieste lo scorso 25 giugno in relazione all’omicidio di Annalaura Pedron, la baby-sitter di 21 anni uccisa il 2 febbraio 1988 a Pordenone. Accusato di essere il suo assassino è David Rosset, un perito informatico trentasettenne anche lui residente nella cittadina friulana. L’uomo era stato “incastrato” solo nel 2008 (quindi vent’anni dopo l’omicidio) dalla prova del Dna, che aveva stabilito che il Rosset era stato nell’appartamento teatro dell’omicidio.
All’epoca dei fatti il presunto assassino non aveva ancora compiuto 15 anni, ecco perché del suo caso si è occupato il Tribunale dei Minori, che però ha stabilito il “non luogo a procedere” non riconoscendo la sussistenza di due delle tre aggravanti contestate dalla pm minorile Chiara De Frassi, che aveva chiesto la condanna a 30 anni (pena massima in caso di minori) per Rosset. Escluse le aggravanti della violenza e dei motivi abbietti e futili, i giudici hanno però ritenuto l’aggravante del mezzo insidioso utilizzato per commettere il delitto equivalente all’attenuante della minore età dell’imputato. La difesa invece aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato per non aver commesso il fatto, evidenziando carenze istruttorie e la totale assenza di prove, a parte il Dna, sulla scena del crimine. Sulla scena del crimine, inoltre, era presente il Dna di altre tre persone, ad oggi non identificate.
LA RICOSTRUZIONE: l’omicidio di Annalaura Pedron avviene in un lussuoso appartamento situato al quarto piano di un palazzo in via Colvera, nel pieno centro di Pordenone. La ragazza si trova in quella casa per accudire un bambino di pochi mesi.L’assassino (o gli assassini) si accanisce su Annalaura, strangolandola e soffocandola, lasciando però stare il bambino, che verrà trovato incolume.
LE INDAGINI: in un primo momento le indagini si concentrano su una setta religiosa di cui Annalaura Pedron era adepta. Ma a causa della contaminazione della scena del crimine dovuta ai tentativi di soccorso, ben presto gli inquirenti si trovano in un vicolo cieco. Nel frattempo passano vent’anni, le tecniche investigative e scientifiche fanno passi da gigante e grazie alla prova del Dna la Squadra Mobile di Pordenone riapre il caso. Con un piccolo stratagemma – le persone di sesso maschile ascoltate all’epoca dei fatti sono state fermate, a bordo della loro auto, e gli è stato chiesto di sottoporsi all’acoltest – si riescono a confrontare le tracce del profilo genetico rinvenuto sulla scena del crimine, che si rivelano compatibili col profilo di David Rosset.
La famiglia di Annalaura Pedron, che non si è mai arresa e vuole giustizia per la sorte della propria congiunta, nonostante gli ultimi sviluppi ha annunciato che proporrà istanza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori affinché impugni la sentenza.
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