Milano, 30 marzo 2011
Il pm di Milano Tiziana Siciliano ha chiesto il rinvio a giudizio per Michael Morris Ciavarella, Stefania Citterio e Pietro Citterio, con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi. I 3 ragazzi, che hanno un’età compresa tra i 26 e i 33 anni, avrebbero ucciso, massacrandolo di botte, Luca Massari, un tassista milanese di 45 anni. Una quarta persona è coinvolta nella vicenda in quanto accusata di favoreggiamento per aver mentito agli inquirenti sulla dinamica dei fatti.
LA VICENDA: I fatti risalgono al pomeriggio del 10 ottobre 2010. Luca Massari, a bordo del suo taxi, si trova a percorrere via Luca Ghini, alla periferia sud di Milano. Improvvisamente un cane senza guinzaglio corre in mezzo alla strada e, nonostante i tentativi di schivarlo, Massari lo investe. Il tassista si ferma per soccorrere l’animale mentre da dietro l’angolo sbuca la proprietaria del cane, il suo fidanzato Pietro Citterio, la sorella di lui Stefania e il fidanzato di questa Michael Morris Ciavarella.
I fratelli Citterio e Ciavarella si scagliano subito contro Luca Massari, prima insultandolo e poi prendendolo a calci e pugni. I tre, secondo quanto sostenuto dal Pm, agiscono con una “furia incontenibile”. La prima a infierire è Stefania Citterio “che si è scagliata contro di lui iniziando a colpirlo con pugni e spintoni” urlandogli “ti ammazzo”. Poi interviene anche Pietro Citterio e alla fine è Morris Ciavarella a sferrare “gli ultimi micidiali colpi, tra cui una ginocchiata in pieno volto sferrata abbassando la testa” dell’uomo e “una spinta finale” che lo ha fatto “cadere all’indietro”. Massari urta “violentemente con la testa il marciapiede ivi rimanendo privo di sensi”. In coma, il tassista morirà un mese più tardi, l’11 novembre 2010.
Pietro Citterio dovrà rispondere anche di incendio, in quanto è accusato di aver dato fuoco all’auto di un testimone, è di minacce e percosse per aver malmenato un fotografo giunto sul posto.
Lo scorso 25 gennaio, quando la procura ha chiuso le indagini, qualcuno ha dato fuoco anche all’auto del figlio di un’altra testimone. In questo caso però non può essere stato Pietro Citterio, all’epoca già in carcere. Certo è che la cappa di silenzio e omertà in cui si è sviluppata questa vicenda, maturata all’interno di un vero e proprio clan familiare, fa riflettere su quale sia l’atmosfera che si può respirare alla periferia di un centro metropolitano sviluppato come Milano.
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